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UNA STORIA FA, quando il mondo conobbe il marchese di Cordova

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«Perseguitato da nemici segreti che non conoscono requie, né pietà, né rimorso, inseguito da essi a traverso due continenti io sento che la mia unica salvezza ormai sta nella pubblicità. Perciò espongo la mia straordinaria storia al mondo pubblicandola su una rivista e la espongo nella fiducia che, con la pubblicità ogni campione onesto della razza britannica dovrà divenire mio difensore e alleato».

Il testo citato non è l’incipit di un romanzo di avventura di fine Ottocento, ma è la testa di un articolo comparso nel febbraio 1903 su «The Wide World Magazine» e intitolato “The Adventures of the Marquis di Cordova, told by Himself” (Le avventure del marchese di Cordova, raccontate da lui stesso). Raccontava la straordinaria autobiografia di un semi-sconosciuto italiano nato in Lombardia trentacinque anni prima. Quell’articolo fu pubblicato, quasi contemporaneamente, in Italia da «La lettura», una rivista mensile del «Corriere della sera».

Il marchese di Cordova era, al secolo, Carlo Cattapani. Nacque a Mantova il 7 agosto 1868 dal colonnello Lorenzo Cattapani e dalla nobildonna nocerina (casollese, per esattezza) Rosa Malinconico, dalle quale aveva ereditato il titolo di marchese.
Iscritto inizialmente alla scuola militare di Caserta, Carlo l’abbandonò quasi subito per dedicarsi allo studio delle “belle arti”. In questi anni, s’innamorò di una bella ragazza che, pare, non disdegnasse le sue avances. Ma quando il marchese la scovò in atteggiamento intimo cn un’altro uomo, lo sfidò a duello, uccidendolo.
Segnato da quell’avvenimento, Cattapani si ritirò nell’Abbazia della Santissima Trinità di Cava, con l’intenzione di prendere i voti. Ma, dopo un percorso studi che lo portò a stringere amicizia col cardinale di Napoli Guglielmo Sanfelice d’Acquavella, comprese che la vita monastica non faceva per lui e riprese lo studio dell’arte.
La morte del padre fu un duro colpo, anche perché privò sia lui che la madre del loro principale mezzo di sostentamento. Così, il giovane Carlo si dedicò al recupero di una grande eredità familiare (sparsa tra Barcellona, Cuba e la Francia) che un suo avo, giunto in Italia nel Settecento, a causa della sopraggiunta vecchiaia, non aveva avuto la forza di reclamare.
Carlo si traferì prima a Parigi poi a Londra, dove fu contattato da un «detective francese» che lo assicurò di essere a conoscenza di documenti decisivi affinché egli potesse reclamare la sua eredità. Ma, come nella bella trama di un romanzo avvincente, il marchese scoprì che quelle carte erano in Colorado. Fu da quel momento che, per il protagonista di questa avventura, iniziano i «guai seri».
Carlo fu prima in Italia, poi a Montecarlo dove «udii ronzarmi all’orecchio il sibillio di un proiettile».
Tornato a Londra, cominciò a frequentare un vecchio amico di famiglia che, nella capitale britannica, svolgeva il ruolo di ambasciatore italiano. Qui Carlo fondò una società d’arte applicata e cominciò a viaggiare per lavoro. Una mattina si svegliò in un ospedale di Birmingham. Era stato picchiato, ma non derubato. A Londra il «detective francese» gli disse che quell’episodio, insieme al colpo di pistola a Montecarlo, avevano a che fare con la sua eredità.

In nuovo atto di violenza lo colpì poco prima di partire per l’America. Tre uomini entrarono nel suo appartamento londinese, lo legarono e, dopo aver dato fuoco alle tende, fuggirono. Cattapani sarebbe sicuramente morto se tre operai, attirati dal fuoco, non fossero accorsi a salvarlo.
Il marchese raggiunse New York nell’aprile 1901. Qui si incontrò di nuovo col detective. Carlo lo mandò in Colorado per recuperare quelle famose carte relative alla sua eredità.
Il francese sparì fino a settembre, quando Carlo ricevette un dispaccio nel quale gli si chiedeva di recarsi alla Mission House South Ferry di New York. Qui incontrò uno sconosciuto che conosceva il saluto segreto tra lui e l’investigatore francese. In un anelito di imprudente fiducia, Carlo salì su una macchina… da solo.
Il marchese si svegliò tempo dopo imprigionato in stanza buia mentre due voci oltre il muro discutevano su certi ordini che non arrivavano e sulla loro riluttanza a «spargere sangue».
Senza farsi tante domande, Carlo spinse un tavolo verso una finestra sbarrata, la forzò e riuscì ad evadere. Sfinito, si addormentò nel Prospect Park di Brooklyn. Svegliato da un poliziotto, poté tornarsene a casa.
Non accadde nulla fino al 1° giugno 1902, quando una lettera firmata da un certo Smith chiese al marchese un appuntamento presso la statua di Madison square. Quel certo Smith chiese a Cattapani 100 dollari per recarsi in Colorado per recuperare le sue carte. Non avendo con sé i soldi, Carlo diede all’uomo un nuovo appuntamento. Si incontrarono sette giorni dopo. Mister Smith, presa la cifra, diede al marchese una mappa del Colorado sulla quale era segnato il punto in cui il nonno aveva nascosto i documenti.
Tornando a casa, un signore chiese al marchese un fiammifero. Neanche a dirlo… «Prima che avessi potuto voltarmi completamente, fui assalito da tre uomini e gettato a terra». Si svegliò in una stanzetta legato e imbavagliato. Due uomini gli offrirono la libertà a patto che avesse firmato un documento. Al rifiuto del marchese, quei due gli diedero da bere un vino “corretto” che lo stordì.
Carlo si svegliò legato al binario di una ferrovia. Impaurito, riuscì a liberarsi con uno strattone poco prima che un treno potesse travolgerlo.

«Dopo questa avventura decisi di lasciare Nuova York trasferendomi a Filadelfia. Ma non mi sento al sicuro in nessun modo», l’autobiografia termina – purtroppo – con queste parole!

Queste pagine avvincenti come un racconto di Arthur Conan Doyle, che raccontano una storia vera,  meriterebbero un finale all’altezza. Chissà se, da qualche parte, esista la conclusione delle avventure del marchese…
Quel che è noto è che la vita di Carlo Cattapani non finì lì. È ricca di avvenimenti altrettanto avvincenti che sono “un po’ meno ignoti”.

Il fondatore della Nocerina morì a New York il 1º luglio del 1925 a seguito delle complicazioni di una polmonite.
Il suo corpo fu imbalsamato, portato in Italia e collocato in una teca di cristallo nei pressi del vecchio ingresso del cimitero di Nocera Inferiore. Durante il secondo conflitto mondiale, a seguito dei bombardamenti che colpirono anche il cimitero nocerino, la sua tomba e i suoi resti mortali andarono distrutti.
Da allora, in un certo senso, le spoglie del marchese si sono fuse per sempre alla terra che gli ha dato, indirettamente, la vita e che lui ha ripagato dando vita a uno dei più grandi amori della nostra vita.

Francesco Belsito, ForzaNocerina.it

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