GAETANO FONTANA: “Spezzato un sogno, non doveva finire così”










Questa mattina ha fatto i bagagli e ha lasciato il Park Hotel Sanseverino, dopo aver salutato ieri la sua dimora sportiva degli ultimi 7 mesi. Non è stato un saluto facile per Gaetano Fontana, alle prese con le emozioni forti sue e dei suoi calciatori. Difficile limitarsi con le parole. Ci prova il mister rossonero, in uno stream of consciousness che parte dagli ultimi istanti trascorsi ieri pomeriggio allo stadio San Francesco.
«Terribili. Emotivamente sono stati terribili. Sono dovuto scappare perché non sono riusctio a gestire momenti emotivamente forti, ulteriore mazzata vedere i lacrime i ragazzi. Significano che c’erano grandi valori ed è stato bello lavorare con loro».
Una ennesima conferma che è tutto finito.
«Sì, purtroppo è definitivamente finita. Mi resta l’affetto che i ragazzi mi hanno dimostrato in questi mesi. Ma soprattutto mi rimangono la professionalità e la dignità con cui i calciatori hanno lavorato, soprattutto nell’ultimo difficilissimo periodo».
Emotivamente forte anche l’immagine della mattinata di ieri, alla sveglia, quando hai guardato di nuovo negli occhi i tuoi ragazzi.
«Di solito la sveglia c’è quando si va a dormire, ma io non ho assolutamente dormito. La cosa brutta è stata incrociare lo sguardo perso dei ragazzi. A caldo non c’era la piena consapevolezza di quello che sarà il futuro prossimo. Ho visto occhi di smarrimento, ho visto tanti pensieri e tante domande alle quali è anche difficile dare risposte giuste. In questi momenti i ragazzi vogliono delle certezze, ma non ce ne sono e non c’è chi può dargliele. L’unica certezza vera, oggi, è quella che questi ragazzi hanno dei grandi valori».
In aula hai detto che la tua colpa è stata quella di esserti comportato da padre.
«E’ stata una provocazione, perché rifarei esattamente le stesse cose che ho fatto in quella circostanza. Ho usato quel paradosso soprattutto perché ho tratto un concetto che hanno voluto trasferirmi Palazzi e tutta la giustizia sportiva: mi hanno insegnato che se oggi o domani uno dei miei figli dovesse tornare a casa vittima del bullismo, invece di aiutarlo, posso anche “condannarlo” perché mi ha evidenziato una problematica. A noi è accaduto questo. Abbiamo chiesto aiuto e siamo stati bastonati».
L’hanno definita sentenza “politica”. Una camera di consiglio troppo veloce per esaminare la posizione degli 11 imputati.
«Non mi viene alcuna definizione differente. E’ così. E’ palese che la camera di consiglio non è durata nemmeno il tempo necessario per discutere ogni singola posizione. Probabilmente avevano già in mente quello che volevano portare avanti. Le nostre difese sono state ineccepibili, pronte a smontare tutti i punti dell’accusa. Non credo sia stata una sentenza “normale”, visto come è andata».
In aula non c’era nessun esponente della società.
«Sono abituato a sbrigarmi le cose senza l’aiuto e il sostegno di nessuno. Probabilmente l’unico errore che mi imputo è quello di aver espresso inizialmente il mio pensiero sul da farsi in quella giornata, ma di non averlo sostenuto fino alla fine, anche per rispetto dei ruolo. Avevo detto che non volevamo giocare e che volevamo andare via. Poi sono subentrate altre situazioni, fino all’epilogo. Oggi conta poco dirlo, ma ho ulteriormente capito che quando devi essere decisivo, devi farlo indipendentemente da altri fattori».
Hai vissuto altri momenti di burrasca con i tifosi. Castellammare il ricordo più aspro. All’epoca però eri calciatore; a Salerno avevi invece la responsabilità di guidare tanti ragazzini.
«E’ una situazione diversa perché a Castellammare c’erano comunque diversi calciatori esperti, intorno ai 30 anni. All’epoca gli inviti dei tifosi stabiesi furono forse ancora più “coloriti”. Ma, in generale, al sud il calcio è vissuto in maniera focosa, anche se non si va mai oltre. Quando in campo ci sono ragazzini che non hanno un vissuto utile a digerire determinate pressioni, anche una minima parolina può essere deleteria. Mi sento però di dire una cosa, doverosa. Devo fare i complimenti ai genitori di tutti i calciatori, perché mi hanno dato l’opportunità di lavorare con ragazzi che hanno principi e valori importanti. Sono dei ragazzi puri. E queste qualità venute fuori anche nei saluti di ieri pomeriggio».
Di scelte fatte a Salerno e in seguito s’è già ampiamente parlato, così come di eventuali rimpianti e rimorsi. Tuttavia, non può non esserti rimasta dentro la rabbia per quanto avvenuto.
«La rabbia c’è per non aver portato a termine un lavoro e pure perché è stato spezzato un sogno a dei ragazzi formidabili che meritavano un’occasione, compresi noi tecnici. Non c’era un ingaggio importante, ma eravamo tutti qui per crearci una opportunità per il futuro. La meritavamo! Questa è la rabbia più forte che mi porto dentro».
Gaetano Fontana e il calcio. Ne avrai sicuramente viste tante, di tutti i colori. Ma un colpo del genere può farti dire addio a ciò che, di fatto, ha rappresentato una parte importante della tua vita?
«Il mio motore è stata sempre la lealtà, la passione, l’amore per i valori di questo sport. Non sono stati certo tecnica e fisicità, che pure fanno parte del contesto, ma non erano alla base della mia carriera e della mia vita. Oggi sono cascati tanti pilastri con questi tre anni e mezzo di stop, anche se faremo un tentativo attraverso il Tnas. Se non ci sarà riduzione, devo pensare che non ci sarà più spazio per uno come me nel calcio. E quindi devo pensare di poter fare altro, perché mi sentirei nullo se restassi fermo a vivacchiare».